Serena prosegue il suo racconto ricordando che gli studi erano suddivisi tra un approfondimento sul movimento e l’orientamento nell’atto di produzione del segno curato da Benedetto Santarelli ed Elena Radutzky e la ricerca di Serena stessa e Virginia Volterra sull’aspetto relativo al luogo e alla configurazione segnica.
Il lavoro che ha poi portato alla stesura del libro, non è stato affatto semplice ma è stato reso possibile anche grazie alla collaborazione di altri studiosi: tutti udenti, ricorda Serena, l’unica ad essere sorda era lei. Il suo contributo alla ricerca è stato infatti anche quello di fornire la corrispettiva traduzione in Lingua dei Segni di una frase in italiano; una Lis, quella di Serena, ricca di segni tipicamente “romani” che lei stessa aveva acquisito dalle sue conoscenze nella Capitale.
Ecco finalmente che, dopo un lungo lavoro, esce la prima edizione del libro “La lingua dei segni italiana”. Serena confessa che, sebbene avesse nutrito particolare interesse per lo studio della lingua, aveva avuto difficoltà ad approcciarsi ai diversi ambiti che non la appassionavano quanto l’interesse che nutriva per la linguistica e che tuttavia si trovò costretta ad approfondire ricorrendo alla consultazione di diversi libri.
Inoltre Serena partecipò a numerosi seminari e convegni molto utili alla ricerca, pur non amandoli particolarmente. Durante queste partecipazioni era spesso chiamata a ripetersi come fosse un’insegnante, ruolo però a cui non ambiva.